
“Quando ero piccolo, diciamo sui 10-11 anni, facevo impazzire mia madre perché spendevo la mia paghetta al mercato dell’usato. Sceglievo con cura scavando sotto montagne di felpe, jeans, giacche di pelle accatastate senza una logica precisa. Almeno così mi pareva e ciò accresceva la mia ingenua soddisfazione nell’accostare felpe con jeans e giacche per dare loro un senso: il mio.” Da ragazzo compravo per diletto personale, oggetti dei materiali più diversi che ristilizzavo per migliorarli, per renderli più eleganti. Oggetti che mostravano le pieghe del tempo, trovati in mercatini o con ricerche personali - spesso da chi li voleva gettare perché oramai troppo vecchi e inutili. Una volta li allungavo con una protesi, anche di materiale diverso, un’altra li riempivo modificandone la forma, un’altra ancora li riducevo asportandone una parte. Ero affascinato da questa possibilità di manipolare, con la stessa operazione, forma e materia”.

Mobili che appena arrivati in laboratorio, mostravano le pieghe del tempo e il segno di lunghe sofferenze, trovati con estenuanti ricerche personali - spesso da chi li vuole gettare perché inutilmente vecchi. Si percepisce che sono troppo malmessi per essere restaurati e riportati alla vita precedente.
Ero spinto da grande passione e guidato dall’intuito e dal desiderio di rendere quegli oggetti più belli, solo per me. Questa passione si è successivamente confrontata con alcuni filoni dell’arte contemporanea, specialmente nel percorso che si riconduce alla matrice dell’arte Concettuale, dove soprattutto le installazioni hanno amplificato la mia conoscenza e, di conseguenza, anche la consapevolezza dei limiti teorici di quanto stavo facendo. Si era spalancata una cornice nuova all’interno della quale rileggere quanto facevo e progettare quanto avrei potuto e voluto fare.

“Mi rendevo conto che i miei interventi e manipolazioni erano guidati solo da una intuizione soggettiva, priva di adeguata motivazione estetica: ristilizzazione caotica di oggetti di una diversa bellezza”.
La consapevolezza di quello che facevo, stava maturando nel confronto con le opere d’arte contemporanea che amavo osservare. Nasce in quel periodo quella pratica progettuale del riuso e della ristilizzazione formale, una sorta di post-produzione di oggetti che aveva nelle espressioni più performative dell’arte contemporanea e nell’evoluzione del design il suo orizzonte concettuale. E’ curioso che il termine che meglio esprime questo processo creativo in cui ero immerso sia stato coniato da un ingegnere meccanico tedesco, Reiner Pilz, che nel 1994, in un’intervista, distinse tra il riciclo, che chiamava down-cycling e l’up-cycling, che dava ai vecchi oggetti un valore non minore, ma maggiore di quello originario in termini di qualità materiale e simbolica.
Upcycling, Riuso adattivo, Arte contemporanea e Design sono infatti le sorgenti che alimentano e connotano la mia progettualità. Sorgenti inesauribili che mutano in continuazione e che non offrono soluzioni prestabilite, ma possibilità di combinare il nuovo che emerge in modi sempre diversi affinando un metodo che è allo stesso tempo, un modo di pensare, di leggere, di progettare. I primi esperimenti di riuso portati avanti in un garage –adibito a laboratorio e magazzino- cominciavano a piacere ed essere apprezzati prima dagli amici, poi dai primi clienti poi da un pubblico più ampio. Con il procedere dei miei primi lavori, ho acquisito progressivamente un controllo della materia e delle sue trasformazioni e un talento particolare con una vocazione specifica nel confronto con il tempo: quello passato, di cui sono intrisi come memoria gli oggetti che utilizzo nel processo di up-cycling, e quello futuro degli oggetti che creo combinando forme e materie già gravide di storie; il passaggio verso la Design Art è stato dolce ed organico. Oggi il mondo del Design e dell’Arte si aprono ad un’ibridazione di forme e generi. La bellezza e la creatività, trovano nella vita quotidiana nuovi territori in cui espandersi. In questo panorama ho maturato la consapevolezza ed un particolare interesse verso la Design Art.
La Design Art costituisce per me, una fusione tra due ambiti, quello della creatività progettuale praticata nella prima parte del mio percorso, volta a offrire soluzioni all’industria per la realizzazione di oggetti seriali, utili ed esteticamente gradevoli, l’altro a ideare opere d’arte uniche e belle, ma senza scopo, senza nessuna vera utilità.
Dalla ibridazione di questi due universi, ho realizzato che la Design Art mi poteva fornire inoltre, una chiave di lettura per l’evoluzione del mio punto di vista dell’estetica quotidiana, dove il valore di “rappresentazione scenografica” dei prodotti, si aggiunge al valore d’uso degli oggetti, e di conseguenza può costituire una categoria totalmente autonoma per questa sovrapposizione di creatività tra bellezza e funzionalità. Il luogo ideale della Design Art è l’ambiente vissuto, quindi luoghi domestici, la strada, ma anche showroom, dove l’osservazione dell’estetica concettuale e consumo si intrecciano in un’esperienza multisensoriale. Pertanto la visione disinteressata dell’opera d’arte, viene ora sostituita da un’esperienza a più livelli, una sorta di “consumo contemplativo” dove l’osservazione della bellezza si dovrebbe fruire non solo nei musei e nelle gallerie ma anche allargarsi a tutti gli spazi urbani.
